Pagine

martedì 20 gennaio 2015

#VIDEO #SOCIETA' / Pil, società, cultura, impresa



Ulderico CAPUCCI, consulente di direzione, formatore
Società e Impresa, intervento TEDxlakecomo, 11 aprile 2009 
video, 15min32

Ulderico Capucci è consulente di lungo corso, esperto di economia e di sviluppo delle organizzazioni.
Questo intervento, che parte dal Pil per toccare questioni della società e dell'impresa, oltre che dell'economia, risale a più di 5 anni fa.
La domanda è: l'analisi e le idee per il futuro qui avanzate sono superate?
Il mio parere è che, almeno qui in Italia, il passato sembra non passare mai. 
E che se un film, ovunque, per essere tale, ha fotogrammi che scorrono, noi riusciamo a bloccare i fotogrammi dentro una foto che si ripete. 
Coazione a ripetere, si direbbe in psicologese. (mf)

2 commenti:

  1. La domanda, che richiederebbe una risposta ben più lunga e articolata della mia, è PERCHE' non cambia mai niente. Provo a dare un piccolo contributo sul versante che mi è più congeniale, quello formativo. E' evidente (non perché lo dico io ma perché la realtà è sotto gli occhi di tutti) che le indicazioni (in questo caso competenti e lungimiranti) di un bravo relatore non modificano lo status quo. Ricordo intanto che anni fa, in occasioni come queste, era più facile trovare qualche voce in dissenso dal buonsenso. Per esempio un Ratti proclamava, in un convegno AIF, che se il dilemma è stare dalla parte delle persone o dalla parte delle aziende lui era senza ombra di dubbio dalla parte delle aziende. Naturalmente io dissento e dall'impostazione del problema e dalla risposta suggerita. Ma dal confronto-scontro "avanza più ciccia" come avrebbe detto mia nonna. Il fatto che oggi non si trovi più "un'intervento alla Ratti" è tanto più preoccupante perché i ritrovati umanisti da convegno nelle aziende di appartenenza si comportano all'opposto. Un dato su tutti:quello degli investimenti decrescenti in formazione, sempre "strategica" nei convegni. Insomma sembra che il vero cambio di paradigma, in questi ultimi anni, non è l'acquisizione del concetto di "patrimonio", ma il "non metterci la faccia" su decisioni (tutte di breve periodo) in cui dell'importanza del patrimonio (in particolare quello umano) non si ravvisa traccia. In realtà il processo è giunto al secondo stadio (dire e fare l'opposto) ma il primo stadio è stato quello di investire (quando ancora si investiva) in formazione sugli "intangibiles" e misurare i managers esclusivamente sui risultati economici a breve, creando una forma di schizzofrenia manageriale che ha paradossalmente rallentato (per un breve periodo di tempo) l'azione tutta rivolta agli economics. Veniamo al famoso "che fare?". Io rispondo per lo spicchio che mi compete. L'ambiente da dibattito (per giunta depotenziato dalla sindrome dell'apparenza) non serve evidentemente allo scopo. Occorre anzitutto cambiare ambiente. Il titolare di questo blog sa bene che l'ambiente da me proposto è quello artistico, dove vigono regole comunicative assai diverse da quelle del salotto intellettuale. "Tutto ha inizio da un'interruzione" diceva Paul Valery. Quindi cominciamo con l'interrompere le consuetudini. L'ambiente artistico parla una lingua diversa che scivola sotto i nostri schemi linguistici reiterati. L'ambiente artistico ti costringe a un'ascolto "altro" rispetto alle consuetudini. E, se ha ragione Leonarda Venuti Matteucci, l'opera d'arte insegna e al contempo è fonte di introspezione perché di fronte a lei, siamo tutti un po' "nudi". Di fronte a lei siamo invitati a una sorta di "confessione laica". Quali sono le nostre vere emozioni? Quali le nostre paure? Da qui può partire un lungo percorso di ricerca verso nuove direzioni verso nuovi obiettivi. Anche organizzativi .

    RispondiElimina
  2. Intanto un grazie grosso così.
    Non solo perché sei intervenuto, ma per la qualità dell'intervento: ampio e articolato. E che, come puoi immaginare, conoscendomi, condivido al 99%. Se anche altri seguissero l'esempio, il blog potrebbe diventare un 'bel' luogo di scambio. 'Potrebbe': tuttavia, lo so, sono tempi in cui la partecipazione, in generale e dunque pure ai social network, è rattrappita e quindi anche la mia speranza è timida e fragile.
    Vengo all'1%, se non di dissenso, comunque di meno 'entusiastica' condivisione.
    Il tuo approccio all'Impresa come Opera d'Arte è encomiabile: come sai, ho postato un tuo video su questo blog in cui tu ne spieghi 'filosofia' e 'prassi formativa'.
    (vedi: http://masferrario.blogspot.it/2015/01/video-impresa-limpresa-come-opera-darte.html)
    Concordo non solo sulla suggestione, ma anche sulla utilità della metafora artistica: e del resto tutto ciò che ci fa prendere una pausa intelligente dalla coazione al fare-senza-pensare, è benvenuto in questa società sempre più beotamente schiacciata sul fotogramma dell'attimo presente.
    Temo però che a questa metafora si rischi di chiedere troppo. Neppure un 'lavaggio del cervello' (e dell'anima) di 15 giorni di 'total immersion' nella località più 'spiritualmente seminariale' di questo mondo (cosa peraltro ben lontana dal tuo approccio) potrebbe cambiare l'impostazione di vita, e le politiche di impresa, cui tu bene accenni.
    Certo, una riflessione, se bene 'indotta' (e certi stimoli artistici possono bene 'indurre'), non va gettata nella spazzatura: è un seme, e il seme può fruttare.
    Però, benché non sia contadino, anch'io so che il seme, per fruttificare, va coltivato: accudito, curato. Dopo. Dopo averlo gettato: per quanto il getto sia stato ben lanciato e mirato. E 'la terra è bassa', diceva mia nonna. Ragione per cui l'abbiamo tutti abbandonata (con buona pace di Carlin Petrini). E per ritornare a 'chinarsi', zappettando e alimentando la crescita di nuovi comportamenti, occorrono condizioni ben lontane dalla 'frenesia rampante', ossessivamente spacciata per valore positivo, con cui sedicenti 'vincenti', manager e non solo, approcciano oggi il mondo, senza mai una domanda o un dubbio.
    Comunque, ok. Vorrei valorizzare il 99% di accordo. Evitando solo di cadere nell'ottimismo sempliciotto di chi dovesse credere (non è il tuo caso) di aver trovato la nuova ricetta per cambiare la cultura.
    Non ripeterò qui la comoda e stantia frase racchiusa nell'alibi del 'ci vuol altro'.
    Mi limito a mettere in guardia sul fatto che l'arte non basta. E ci vuole 'anche' e 'molto' altro.
    Del resto, abbiamo imparato che mutare una situazione complessa esige più ottiche, più strumenti, più azioni. E il tutto non avviene mai in un fiat, ma in un processo. Di tipo 'changing', non certo 'change'. (vedi il mio scritto in proposito, sempre nel blog: http://masferrario.blogspot.it/2014/12/impresa-societa-solo-change-niente.html)
    (mf)

    RispondiElimina