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domenica 31 luglio 2016

#LIBRI PIACIUTI / Una traccia nel buio, di Arnaldur Indriðason (recensione di M. Ferrario)

Arnaldur Indriðason, "Una traccia nel buio"
2013, Guanda, 2015
traduzione di Alessandro Storti
pagine 315, € 11,00, ebook € 9,99

Ennesima conferma di un 'giallista' di razza
Lo scrittore islandese Arnaldur Indriðason, per chi ama il giallo scandinavo, è una lettura imprescindibile: per le trame complesse, ma mai ingarbugliate; per l'atmosfera grigia, spesso cupa, ma mai opprimente e che dà un tono come velato ai racconti; per i personaggi, anche minori, sempre attentamente curati; per le descrizioni meticolose di un ambiente naturale freddo e desolato, tanto lontano da quello nostro abituale; e (forse, soprattutto) per lo stile pacato, che procede con passo lento, mettendo insieme i fatti senza fretta e poi raccogliendo i fili con calma e chiarezza, fino alla soluzione finale. 

In genere, al centro dei romanzi di questo autore è la figura del detective Erlendur Sveinsson, ma questa storia (Una traccia nel buio) fa eccezione.
Al suo posto, infatti, entra in scena un vecchio poliziotto, Konráð, ormai in pensione, che dà una mano a una collega su un caso misterioso, in cui ha ragione di sentirsi in qualche modo implicato: un anziano dalla vita solitaria, senza amici né parenti, viene trovato morto nel suo appartamento, soffocato nel letto da qualcuno cui forse aveva aperto la porta.

L'indagine è difficoltosa e mescola passato e presente.
E' l'occasione per riandare all'Islanda del 44, occupata da inglesi e americani, e anche alla infanzia del poliziotto pensionato, cresciuto senza madre e con un padre imbroglione, divorziato da una moglie che malmenava, alla quale aveva 'scaricato' la cura della figlia, ma alla quale aveva sottratto il maschio, non tanto per affetto, ma come per vendetta. A quegli anni risalgono l'omicidio di una bella ragazza, trovata uccisa in una nicchia del Teatro Nazionale di Reykjavík, a quell'epoca trasformato in magazzino per le truppe di occupazione, e la strana scomparsa di un'altra giovane nel Nord Islanda: sono morti 'lontane', ma che sembrano avere un nesso e forse, a distanza di oltre sessant'anni, hanno pure qualcosa a che fare con l'uccisione dell'anziano nel suo letto.

La vicenda procede sui due piani temporali, mettendo in campo anche due agenti investigativi, uno della nascente polizia islandese e un canadese che opera per conto dell'esercito statunitense.
Il mosaico si compone lentamente, producendo un'attesa che coinvolge, ma spinge a girare le pagine senza frenesia, facendo apprezzare al lettore le tessere che man mano vengono aggiunte al quadro generale.
La tensione è mantenuta accesa dal cambio frequente di scenario ieri-oggi e dalla complessità dei fatti, all'inizio apparentemente scombinati: la bravura di Indriðason sta nel riuscire a dipanare una matassa, di per sé facile ad aggrovigliarsi, con un linguaggio lineare e semplice, che fa crescere la storia con una logica paziente che ti dà la sensazione di partecipare alla costruzione, e allo scioglimento, del puzzle.
Insomma, l'ennesima conferma di un 'giallista' di razza: uno dei migliori rappresentanti del genere poliziesco scandinavo.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

«
La cucina era piccola ma ordinata, con un tavolo e due sedie. Sul bancone, una macchinetta del caffè con la caraffa mezza piena. Era spenta. Dentro l’acquaio c’erano alcuni piatti e due tazze. In fondo, vicino al piccolo frigorifero, c’era un fornello a tre piastre. In salotto videro un divano con un paio di poltrone in stile, un tavolo e una scrivania accanto alla finestra rivolta a sud. Scaffali con qualche libro, ma pochi soprammobili. Anche qui regnava lo stesso ordine della cucina. Tutti i pavimenti, tranne quelli del bagno e della cucina, erano ricoperti di moquette consunta lungo i percorsi più calpestati, che andavano dal salotto alla cucina, dal bagno al salotto, dalla camera da letto alla cucina e al salotto. In alcuni punti era talmente lisa che s’intravedeva il bianco della trama. I due agenti aprirono la porta della camera. E lì, sdraiato su un letto singolo, c’era un uomo con le braccia stese lungo i fianchi e gli occhi semichiusi. Era in camicia, pantaloni e calze, e aveva tutta l’aria di essersi coricato per fare un riposino nel bel mezzo delle faccende quotidiane, senza più rialzarsi. Visto così, non si sarebbe affatto detto che avesse novant’anni. Il poliziotto più vecchio si avvicinò per tastargli la gola e il polso. Il primo pensiero che gli attraversò la mente fu: «Difficile immaginare un modo più elegante di andarsene». (Arnaldur Indriðason, "Una traccia nel buio", 2013, Guanda, 2015)


La ragazza era stata uccisa l’anno in cui Konráð era nato, e una circostanza molto particolare legava quel fatto a suo padre, che in quel periodo si interessava di esoterismo ed era in contatto con spiritisti di fama non proprio specchiata. Un giorno i genitori della ragazza avevano interpellato uno di quei medium, chiedendogli una seduta spiritica per parlare con la figlia morta. Il padre di Konráð era stato presente in qualità di assistente del sensitivo. E durante quella seduta erano accadute cose delle quali avevano parlato perfino i giornali. (Arnaldur Indriðason, "Una traccia nel buio", 2013, Guanda, 2015)


«Volevo chiederti se ti serve una mano, con il caso del vecchietto» disse Konráð, non appena Marta riuscì a staccarsi per un istante dal telefono. 
La stanza era un caos di documenti, raccoglitori, giornali e ritagli di ogni genere, che Marta aveva accumulato con il passare del tempo. Tanto, quell’ufficetto era tutto suo, non ci entrava nessun altro. Fra le varie cose c’era una magnifica sciabola militare danese della fine dell’Ottocento. Marta l’aveva trovata in un negozio di antichità e la teneva appoggiata sopra una montagna di fogli sul davanzale della finestra. Konráð non le aveva mai chiesto per quale motivo l’avesse acquistata, ma gli pareva di ricordare che il nonno di lei fosse stato un comandante della guardia costiera. 
«Eh?» disse Marta.
«Non siete sempre a corto di uomini?» 
«Ma non eri in pensione?» 
«Certo, e non ho nessuna intenzione di rientrare in servizio, stai tranquilla. Volevo solo aiutarti con l’indagine sul vecchietto, se ti va.» 
«Perché?» 
«Mi annoio» rispose Konráð. «Non occorre nemmeno che tu avvisi qualcun altro, mi limiterei ad affiancarti. Se scopro qualcosa d’interessante, ti avverto all’istante.» 
«Senti, Konráð, io… tu sei in pensione! Non sarebbe meglio lasciar perdere? Non puoi lavorare in nero per me. È fuori discussione. Che idee ti vengono?» 
«Ovviamente la decisione spetta a te» disse Konráð. 
«Vorrei ben vedere.» 
«Ah, bene.» 
«Be’, ci sentiamo.» Marta prese il cellulare. 
«È solo che…» 
«Sì?» 
«Io sono cresciuto in quel quartiere, a Skuggahverfi» disse Konráð. «Quando abitavo là, ho sentito parlare di quella ragazza di cui mi raccontavi, e così…» 
«Ti sei incuriosito?» 
«Vorrei sapere come mai quel tizio teneva da parte gli articoli su di lei. Credo che sia un caso irrisolto.» «Konráð…» 
«Mi faresti un gran favore, Marta. Mi serve solo un modo per entrare in casa di quell’uomo. A tutto il resto posso pensare io. Non vorrai impedirmi di cercare informazioni su un delitto avvenuto sessantacinque anni fa? E poi la Scientifica ha già setacciato la casa del vecchietto. Non altererò la scena del crimine.» 
Dopo un lungo silenzio, Marta disse: «Siamo sempre a corto di personale. Ma davvero hai intenzione d’imbarcarti in un’indagine così vecchia?» 
«Sì.» 
«Allora devi farmi una promessa.» 
«Cioè?» 
«Se emerge qualcosa, avvisami subito. Appena lo scopri.» (Arnaldur Indriðason, "Una traccia nel buio", 2013, Guanda, 2015)
»

Arnaldur Indriðason:
https://it.wikipedia.org/wiki/Arnaldur_Indri%C3%B0ason

#CIT / Poeta (Jean Cocteau)

Jean COCTEAU, 1889-1963
 poeta, saggista, scrittore, drammaturgo
sceneggiatore, disegnatore, librettista, regista ed attore francese

#SGUARDI POIETICI / Casa (Arundhathi Sunbramaniam)

Dammi una casa
che non sia mia, 
dove possa entrare e uscire dalle stanze 
senza lasciar traccia, 
senza mai preoccuparmi dell’idraulico, 
del colore delle tende, 
della cacofonia dei libri vicino al letto. 
Una casa leggera da indossare, 
in cui le stanze non siano intasate 
delle conversazioni di ieri, 
dove l’ego non si gonfia 
a riempire gli interstizi. 
Una casa come questo corpo, 
così aliena quando provo a farne parte, 
così ospitale 
quando decido che sono solo in visita. 

*** Arundhathi SUBRAMANIAM, 1967, danzatrice, giornalista, poetessa indiana, Casa, traduzione di Andrea Sirotti, da ‘sagarana’, n. 25,  ottobre 2006, qui


HOME

Give me a home
that isn't mine,
where I can sleep in and out of the rooms
without a trace,
never worrying about the plumbing,
the colour of the curtains,
the cacophony of books by the bedside.

A home that I can wear lightly,
where the rooms aren't clogged
with yesterday's conversations,
where the self doesen't bloat
to fill in the crevices.

A home, like this body,
so alien when I try to belong,
so hospitable
when I decide I'm just visiting.

#SPOT / Troppo possessivo (Lim Heng Swee)

Lim Heng Swee
illustratore malese

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#MOSQUITO / Burqa, schiavismo moderno (Paolo Flores d'Arcais)

(...) Il burqa è una prigione ambulante, l’esibizione pubblica della sottomissione della donna, emana disprezzo per l’eguaglianza da ogni filo con cui è tessuto. (...)

In una società “colma di simboli della supremazia maschile”, il burqa sarebbe uno dei tanti, dunque accettabile al pari di “riviste erotiche e pornografiche, nudi fotografici, jeans stretti, abiti trasparenti o inguainanti”, giustifica Martha Nussbaum. Ma l’unica analogia in qualche modo sostenibile sarebbe con una pratica che consentisse agli uomini di portare al guinzaglio per strade, ristoranti, cinema, la propria donna. Se accadesse, una legge che lo vietasse, magari con tanto di galera per il padrone, sarebbe il minimo.  (...)

Legittimare la diseguaglianza in plateali ostentazioni pubbliche rafforza e radica oppressione e prepotenza del maschio. Si tratta invece di estirparla, e quella violenta con misure draconiane. (...)

A quanti, con la Nussbaum, sostengono che il burqa non è un simbolo di odio, sfugge che è già un fatto (oltre che un simbolo) – eclatante e spudorato, arrogante e tracotante – di dominio sulla donna, l’opposto dell’eguaglianza, l’osceno inno quotidiano con cui il maschio celebra coram populo la riduzione della volontà della donna a sua (di lui) proprietà. Anche con le leggi più rigorose, sradicare soggezioni storiche o addirittura ataviche è improbo, immaginiamoci senza, e addirittura con la possibilità di ostentare, esibire, pavoneggiare, teorizzare. Infine canonizzare, in nome dell’eguale rispetto. La schiavitù come libera scelta. (...)

*** Paolo FLORES D'ARCAIS, filosofo, direttore di 'MicroMega', brani tratti da Paolo Flores d’Arcais, La guerra del Sacro: terrorismo, laicità e democrazia radicale, Cortina editore,  2016, pubblicati in 'MicroMega online', 25 luglio 2016, qui


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sabato 30 luglio 2016

#SGUARDI POIETICI / Piangi Nausicaa (Tiziana Campodoni)

Siria, bombardato ospedale pediatrico

Perché guardi gli astri?
Morte sui bimbi
Un grido ha squarciato la Terra

Urla Maddalena il tuo strazio
lacera le vesti
strappa i tuoi capelli

Perchè guardi gli astri?
Dio è morto
e anche il prossimo è morto.
Non senti il dolore?
Il piombo è caduto sulla vita.

Nessun comandamento.
Il cielo è svuotato
accoltellato è il ventre.

Piangi Nausicaa dalle bianche braccia
pettina la chioma dell’inutile consolazione
il tuo elegante manto
d’amore tessuto
non potrà avvolgere alcun nuovo venuto.

All’uomo non resta che impazzire.
Solo.

*** Tiziana CAMPODONI, insegnante elementare, saggista, blogger, Piangi Nausicaa, 'bluemoonandart.wordpress', 30 luglio 2016
Vedi notizia Ansa, 30 luglio 2016, qui


In Mixtura i contributi di Tiziana Campodoni qui
In Mixtura ark #SguardiPoietici qui

#GIF / Ginnastica dolce


Facebook, 27 luglio 2016
Per vedere il movimento,
cliccare su 'f' di facebook in alto a destra
oppure link a
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In Mixtura altre 19 #GIF qui

#CIT / Parole (Alda Merini)


da Luca Massacesi, 'facebook', 29 luglio 2016

Alda MERINI, 1931-2009
poetessa, aforista, scrittrice

In Mixtura altri 7 contributi di Alda Merini qui

#FURTI_PREGIATI / Bellezza, e umanità (Lloyd)


Vita con Lloyd, 'facebook', 25 luglio 2016
Bellezza e umanità


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#FAVOLE & RACCONTI / L'ascia del taglialegna e il vicino (M. Ferrario)

C’era una volta un taglialegna che non riusciva più a trovare la sua ascia. 

Era sicuro di averla lasciata la sera prima nel cortile di casa, situata al limitare del bosco: la mattina si era alzato e l’aveva cercata, ma non l’aveva trovata.
Pensò e ripensò a dove poteva averla dimenticata: e si convinse che doveva proprio essere rimasta accanto alla porta della legnaia.
La casa del taglialegna confinava con quella del vicino, anche lui boscaiolo. 

La mattina, come al solito, lo vide di buon’ora al lavoro: stava impilando la legna che aveva spaccato il giorno prima. Come sempre, si salutarono, augurandosi buon giorno. 

Fu in quel momento che gli venne l’idea: e se fosse stato lui a prendersi l’ascia? 

Si lasciò andare a questo pensiero, e subito gli parve di aver colto, nel saluto del vicino, qualcosa di strano: sì, non era il solito buon giorno. Il tono della voce, il modo di guardare, in generale tutto il suo modo di fare gli sembrarono diversi dall’usuale. 
Più volte durante la mattina, da lontano, senza farsi accorgere, osservò meglio il vicino. 
Non l’aveva mai guardato con questa attenzione: lo sguardo, la faccia, le mani, l’andatura, i movimenti. 
Lo studiò e lo ristudiò, e alla fine si convinse che c’era qualcosa di strano nel suo atteggiamento generale, qualcosa di forzato e di meno spontaneo del solito. 
Insomma, tutto diceva che il vicino aveva qualcosa da nascondere. 

Già, concluse, non poteva che essere stato lui a rubargli l’ascia.

Il pomeriggio, come sempre, il taglialegna si inoltrò nel bosco per raccogliere della nuova legna. 
Percorse il sentiero che si snodava lungo la valle e che conduceva allo spiazzo nel quale il giorno prima, fino al tramonto, aveva fatto a pezzi e ripulito i tronchi di parecchi alberi. 
Si chinò su un tronco che aveva lasciato a metà per riprendere a segarlo. 

Fu in quel momento che gli cadde l’occhio su un grande masso poco distante: di fianco, adagiata a terra c’era la sua ascia. 
Immediatamente si ricordò: per caricare la legna sulla carriola, aveva posato a terra l’ascia e poi, evidentemente, l’aveva dimenticata accanto al sasso.

Ritornò a casa contento. 
Incontrò il vicino e si augurarono buona sera. 

Ripensò alla mattina, quando aveva deciso di osservare di nascosto il comportamento del vicino. 
E si ritrovò a guardarlo da lontano, con la stessa attenzione e discrezione, mentre sistemava gli attrezzi nel cortile: notò lo sguardo, la faccia, le mani, l’andatura, i movimenti. 
I gesti erano calmi, misurati. Il viso tradiva la stanchezza, ma era aperto, sereno. 
Risentì il suo saluto: era stato caldo, sincero. Il tono della voce, il modo di guardare, in generale tutto il suo modo di fare gli sembrarono naturali: quelli di sempre. 

Già, concluse, era impossibile pensare che uno come lui potesse aver rubato un’ascia.

*** Massimo Ferrario, L'ascia del taglialegna e il vicino, 1994-2016, per Mixtura. Riscrittura di una favola-parabola attribuita a Lieh-tzu (V-IV secolo a.C.) contenuta in Fausto Tomassini, a cura di, Il vero libro della sublime virtù del cavo e del vuoto, Tea, Torino, 1988


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#SGUARDI POIETICI / Sogni rivoluzionari (Nikki Giovanni)

sognavo sogni militanti 
sogni di conquistare 
l’america per mostrare 
a quel branco di bianchi come si doveva 
fare 
sognavo sogni radicali 
di come far saltare tutti per aria con la mia facoltà 
percettiva di analisi azzeccate 
pensavo infatti di essere io la persona 
che fermava le rivolte e negoziava la pace 
poi mi sono svegliata e accorta 
che se facevo sogni naturali 
di essere una donna naturale 
che fa tutto ciò che fa una donna 
quando è naturale 
avrei fatto una rivoluzione 

*** Nikki GIOVANNI (Yolande Cornelia Giovanni), 1943, poetessa statunitense, Sogni rivoluzionari, traduzione di Adeodato Piazza Nicolai, da Selected Poems of Nikki Giovanni (Poesie scelte di Nikki Giovanni), 1996, William Morrow and Company, Inc., New York., citata in ‘sagarana’, n. 17, ottobre 2004, qui


Revolutionary Dreams

i used to dream militant
dreams of taking
over america to show
these white folks how it should be
done
i used to dream radical dreams
of blowing everyone away with my perceptive powers
of correct analysis
i even used to think i’d be the one
to stop the riot and negotiate the peace
then i awoke and dug
that if i dreamed natural
dreams of being a natural
woman doing what a woman
does when she’s natural
i would have a revolution

#SENZA_TAGLI / Scuola, 10 euro avvelenati per gli insegnanti (Matteo Saudino)

La proposta della Ministra Madia di aumentare di ben 10 euro il salario mensile degli insegnanti italiani (con cui fare una ricarica telefonica o comprare un paio di ciabatte da mare) non deve stupire, in quanto è in piena continuità con le politiche sulla scuola portate avanti dal governo Renzi. 

L'esecutivo, infatti, in piena subalternità al dogma liberista della riduzione della spesa pubblica, considera complessivamente la scuola statale una spesa da ridurre e non un investimento per rafforzare la democrazia e la cittadinanza. L'istruzione deve essere funzionale al sistema economico e produttivo, pertanto serve una scuola snella d'eccellenza per pochi e per tutti gli altri una scuola-fabbrica che costruisca acritici allievi e bulimici consumatori digitali. Per far ciò la scuola della Repubblica va completamente trasformata e da Berlinguer alla Giannini l'obiettivo è sempre stato lo stesso: smantellare la scuola orizzontale e egualitaria fondata dalla nostra Costituzione, usando il leitmotiv della meritocrazia, dell'efficienza e dello stare al passo delle sfide globali. 

La volgare proposta della Madia è un piccolo tassello di tale impalcatura. Il salario basso per tutti i docenti, anche figlio della femminilizzazione della professione, è, infatti, una mossa per portare gli insegnanti ad attivarsi nella competizione per accedere ai miseri fondi destinati al merito, i quali tra l'altro non hanno quasi nulla a che fare con l'impegno, la passione e la competenza con cui un professore insegna la propria disciplina, ma rispondono ad una logica quantitativa e produttivista, secondo la quale i migliori professori sono quelli che fanno più progetti, trovano più fondi o rendono la scuola più visibile sul territorio e sui mezzi di informazione. 

I 10 euro sono una consapevole elemosina con cui, ancora una volta, il potere gioca la carta del divide et impera e prova a vedere quale sarà la reazione dei lavoratori, consapevole che con l'imposizione della buona scuola verticale e aziendale ha, di fatto, distrutto molte delle resistenze dei docenti. 

Anche il questo caso sarà il tempo a dirci chi avrà ragione: i lavoratori della scuola sapranno aprire una nuova stagione di mobilitazione per il salario e per la democrazia oppure accetteranno e subiranno tale nuova umiliazione? Le poche reali e concrete prese di posizione contro il merito di questi mesi fanno presagire nulla di buono. Il rischio è di scannarci per dividerci la torta avvelenata che ci tira in faccia il governo o più probabilmente il risultato sarà quello di mangiarla per inerzia o per rassegnazione. La via della lotta per avere più torte di qualità per tutti sembra distante, ma spero di sbagliarmi. 

Come facciamo a non capire che la scuola non deve essere un luogo di competizione e di carriera, ma una comunità di cooperazione e crescita collettiva. Servono sanzioni per gli eventuali fannulloni o incopetenti e non medagliette e pochi euro in più per i presunti migliori. Migliori in cosa e in base a quali criteri? Migliori ad obbedire? Ad usare la Lim? Migliori perché hanno un certificato informatico? 

La premialità produttiva dei sedicenti top docenti della scuola è un'ideologia perversa, tanto amata dai fedeli e credenti del mercato, che pensano che basti stimolare la competizione tra gli individui per costruire un mondo migliore (per chi?), che sta portando e porterà alla trasformazione radicale del sistema scolastico italiano, il quale anziché essere migliorato e potenziato in senso democratico e giusto, diventerà sempre più un bene di lusso per pochi e un bene mediocre per i più. La direzione imboccata da vent'anni è superare il modello di scuola della nazione, per edificare una scuola dei territori al servizio delle esigenze capitalistiche territoriali.

Loro la chiameranno scuola moderna, del futuro e delle opportunità, noi dobbiamo avere la lucidità per capire che sarà la scuola delle divisioni sociali e della reiterazione delle differenze e ingiustizie.

*** Matteo SAUDINO, insegnante, 10 euro avvelenati per gli insegnanti, 'facebook', 29 luglio 2016, qui


In Mixtura altri 2 contributi di Matteo Saudino qui

#MOSQUITO / Coccole, nessuno è troppo grande (Giacomo Dacquino)

Ogni essere umano ha bisogno di ricevere calore, a qualsiasi età e in qualsiasi luogo. Non esistono gli uomini ‘forti come una roccia’, come è scritto nei libri. Tutti hanno un angolo freddo in una parte del cuore, tutti hanno bisogno di ‘vitamine affettive’. Nessuno è troppo grande per le coccole, perché il bene che ci vogliono gli altri nutre la nostra identità ed è la nostra forza.

*** Giacomo DACQUINO, psichiatra e psicoterapeuta, Se questo è amore. Conoscersi meglio per imparare a farsi amare, Mondadori, Milano, 1999

venerdì 29 luglio 2016

#SGUARDI POIETICI / Dimissione (José Saramago)

Questo mondo non serve, ne venga un altro, 
Già da troppo tempo siamo qua 
A fingere ragioni sufficienti. 
Diventiamo cani dei cani: sappiamo tutto 
del mordere i più deboli, se al comando, 
del leccare le mani, se ubbidiamo. 

*** José SARAMAGO, 1922-2010, scrittore, giornalista, drammaturgo, poeta e critico letterario portoghese, premio Nobel per la letteratura nel 1998, Dimissione, in Os Poemas Possíveis, Editorial Caminho, Lisboa, Portugal, 1981, traduzione di Julio Monteiro Martins, da ‘sagarana’, n. 9, ottobre 2002, qui



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#CIT / Uno dei più iniqui delitti (Maria Montessori)

(via facebook)

Maria MONTESSORI, 1870-1952
educatrice, filosofa, medico

In Mixtura 1 altro contributo di Maria Montessori qui

#LIBRI PIACIUTI / 7-7-2007, di Antonio Manzini (recensione di M. Ferrario)

Antonio MANZINI, "7-7-2007"
Sellerio, 2016 
pagine 369, € 14,00, ebook € 9,99

Un vicequestore sempre più umano
7-7-2007: titolo criptico e inusuale. Ma il mistero è presto sciolto: e ai lettori affezionati alle vicende seriali di Rocco Schiavone verrà finalmente svelato uno dei tasselli che finora mancava. Si tratta infatti della data di un'estate terribile in cui è rimasta uccisa Marina, la moglie del vicequestore: un giorno incancellabile, che ritornerà ossessivamente nei ricordi del poliziotto, alimenterà in lui un insopprimibile senso di colpa e si insinuerà di soppiatto nella sua psicologia quotidiana, già di per sé poco portata alla pace interiore, ogni volta che sarà chiamato a sbrogliare i tanti casi che gli capiterà di indagare dopo il trasferimento da Roma ad Aosta. 

Il libro è l'occasione per riannodare i fili col passato e dare ordine ad altre tessere, finora accennate, ma di fatto lasciate in ombra, della biografia di Schiavone: le sue origini di ragazzino con un rapporto quanto meno disinvolto con la legalità; le amicizie delinquenziali di gioventù (ancora affettivamente intense e genuine come poche sanno essere); il suo comportamento trasgressivo, o addirittura decisamente fuorilegge, tenuto nel ruolo di vicequestore (uno stile di vita che tra l'altro gli ha consentito l'acquisto di un appartamento non certo abbordabile con lo stipendio fisso di funzionario dello Stato, accendendo prima dei sospetti in Marina e poi mettendo a dura prova la relazione con lei).

Il racconto è per buon parte la riesumazione di un caso, al solito drammatico, intricato e carico di tensione, dell'ultima fase romana di Schiavone.
Il poliziotto è chiamato dal questore e dal procuratore di Aosta, dove ormai è trasferito, a riavvolgere il film dei suoi ricordi, quando ancora operava a Roma, prima dell'allontanamento punitivo. E' giunto il momento in cui è costretto a dare conto delle sue azioni di quegli anni, anche perché il passato non pare essere del tutto archiviato e alcune vicende ancora in atto, e che lo perseguitano pure ad Aosta, sembrano avere le loro radici nell'estate del 2007.

Antonio Manzini è ormai autore supercollaudato: la sua abilità di scrittura è nota e comunemente apprezzata, così come sperimentata è la sua sapienza nel costruire storie che non perdono colpi e mantengono agganciato il lettore.
Eppure, forse, in quest'ultima sua prova, la capacità di unire forza drammatica e efficacia descrittiva a ironia e leggerezza, anche attraverso l'uso di dialoghi spigliati e mai scontati, ha raggiunto il massimo. Per non dire poi di alcune pagine, davvero particolarmente felici, in cui l'amore tra Rocco e Marina è trattato con una dolcezza che sembra sconfinare in poesia.
Insomma, chi ama i confini rassicuranti del genere poliziesco, ma è attirato da storie non insipide, ottimamente raccontate e, soprattutto, aventi come protagonista figure dall'indubbio e genuino spessore umano, ha trovato il libro che gli regala qualche ora di divertimento appetitoso e intelligente. E finisce facilmente per provare una istintiva e crescente simpatia per questo vicequestore che è un ossimoro vivente: burbero, scontroso, cinico, eppure dolce, amabile, di cuore; spregiudicatamente trasgressivo e al confine della (il)legalità, eppure appassionato e cocciuto cacciatore di fuorilegge.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

«
Voleva l’alba anche se sarebbe stata portatrice di caldo e caos. Ma almeno poteva andare in giro a lavorare senza rimuginare troppo su sua moglie. Provò a mettersi con la testa sul caso. Ma i pensieri migravano come uccelli. Un’ambulanza strillava lontana. Pensò a come le notti, man mano che gli anni passavano, diventassero sempre più lunghe. Quando andava al liceo non faceva in tempo a mettersi a letto che era già ora di alzarsi. E anche durante l’università o quando frequentava la scuola superiore di polizia. Se mai la sorte gli avesse concesso la pensione e la vecchiaia, se la immaginava un mondo perennemente abbracciato dal buio, come nel circolo polare artico quando in inverno il sole non riesce a carezzare il paesaggio neanche a mezzogiorno. (Antonio Manzini, "7-7-2007", Sellerio, 2016) 

Le chiavi nella toppa della porta lo fecero voltare verso l’ingresso. Qualcuno era entrato in casa. Sentiva il suo passo. Era Inna. «Buongiorno, già svelio?». 
«No. Di solito dormo in piedi in cucina facendo il caffè» le rispose. Inna poggiò le chiavi sul tavolo, la giacchetta di cotone sul divano e sfregandosi le mani entrò in cucina. «Signora? Sempre a Firenze?» chiese con un sorrisetto. 
«No. Ora è a Catanzaro» disse Rocco. «Poi va a Abbiategrasso e infine a Salsomaggiore Terme. Vuoi una cartina precisa dei suoi spostamenti?». 
Inna sorrise e aprì lo sgabuzzino. «Oggi faccio i vetri». 
«E sticazzi». Premette il tasto rosso e tolse la tazzina da sotto la macchina. 
«Lei sempre nervoso la mattina». 
«Pure il pomeriggio. E la sera. E la notte. E ogni volta che qualcuno mi rompe le palle». Poggiò le labbra aspirando il profumo del caffè. «Lo vuoi anche tu Inna?». 
L’ucraina lo guardò stupita. 
«No grazie. Appena preso». 
«Tanto non avevo la cialda». Lasciò la tazzina sul tavolo e fece per uscire. 
«Oggi è giorno di paga, signore». 
«Ah sì?». 
«Ah no? Settimanale» fece la donna prendendo flaconi e stracci dall’armadio della cucina. 
«Bene. Te la lascio sul comò all’ingresso. Mi devi dire quant’è». 
«Lei non sa?». 
«No. Lo sa mia moglie». 
«La chiami e se lo faccia dire». 
«Alle sette e mezza?». 
«Perché? È troppo presto? Di solito signora Marina si svelia anche prima». 
«Perché non me lo dici tu, Inna?». 
«E lei si fida?». 
«Certo. Sono un poliziotto. Se mi dai la fregatura ti faccio ritirare il permesso di soggiorno e ti rimando ammanettata sul Volga». 
«Non vengo da Volga». 
«Da dove vieni vieni». 
«250 euro» disse Inna seria. 
«Ottimo» rispose Rocco e lasciò finalmente la cucina. Se avesse potuto, Inna gli avrebbe spruzzato il Vetril in faccia. Non escluse che prima o poi l’avrebbe fatto. (Antonio Manzini, "7-7-2007", Sellerio, 2016) 

«Ora ti do un consiglio. Se vuoi fare carriera qui dentro, meno ti fai vedere con me e meglio è. Cercherò anche di non lasciarti più Lupa, insomma ti prometto di avere a che fare con te solo per le questioni lavorative». 
Caterina si rabbuiò. «Perché dici questo?». 
«Perché ho gli occhi addosso della questura e della procura. Perché non sono uno stinco di santo, perché mi muovo male e perché mi contano anche i passi. Perché qui ad Aosta non ci sono venuto in vacanza premio, perché un po’ di cose su di me ormai le sai. Questo» e si indicò, «è il carro dei perdenti». 
Il viceispettore tirò un sospiro. «Io non ti frequento perché penso di fare carriera. Io non voglio fare carriera, solo il mio lavoro. E se ti frequento è perché, piano piano, mese dopo mese, ho imparato a conoscerti. All’inizio ti detestavo, non lo nego». 
«E poi cos’è successo?». 
«Hai un cuore. Lo tieni nascosto, ma ce l’hai. Ecco, quando l’ho capito qualcosa è cambiato. Tu potrai sempre contare su di me. Che tu abbia gli occhi della procura addosso o meno, potrai sempre farlo. Ho detto più cose a te che alla mia migliore amica. Pensi che non conti nulla?» (Antonio Manzini, "7-7-2007", Sellerio, 2016) 

«È la vita, Rocco. E devi continuare a viverla!». 
Ecco. Era la sua voce. L’ho riconosciuta. L’hai sentita Lupa? Era lei. Era lei. Senti che aria che c’è. Senti che profumo. Sono fiori? Sono forti i fiori. Ogni anno risbucano come se niente fosse, come se non avessero preso schiaffi e gelo per mesi e mesi. No, li ritrovi lì, esattamente come l’anno prima e li ritroverai l’anno dopo. E quando se ne vanno lasciano per terra i petali colorati. Noi invece? Lo sai Lupa? Lo sai cosa lasciamo noi? Una matassa ingarbugliata di capelli bianchi da spazzare via da un appartamento vuoto. 
Questo lasciamo. (Antonio Manzini, "7-7-2007", Sellerio, 2016) 
»

https://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Manzini

In Mixtura altre 2 mie recensioni a 
* Antonio Manzini, "Sull'orlo del precipizio", Sellerio, 2015; e
* Antonio Manzini, "Era di maggio", Sellerio, 2015
qui

#LINK / Coaching, un'indagine 2016 (Alessandro Pegoraro)

Sono disponibili i dati della nuova ricerca 2016 – le altre edizioni sono state pubblicate nel 2007 e nel 2012 – che l’International Coaching Federation ha commissionato a Price Waterhouse. Ne emerge il ritratto del coaching come di una professione prevalentemente al femminile (67%), sviluppata soprattutto in America del Nord e in Europa Occidentale, che lavora, in massima parte, con clienti aziendali. Ma vediamo qualche dato.
I coach con un’attività regolare sono circa 53.300 (si tratta ovviamente di stime). L’Europa Occidentale rappresenta il 35% del totale, seguita dall’America del Nord con 33%. Il resto se lo spartiscono l’Est europeo, l’Africa e il Medio Oriente, l’Asia e Oceania.
La maggior parte dei coach è raggruppata tra i 35 e i 60 anni di età. (...)

*** Alessandro PEGORARO, consulente e coach,  Il coaching nel 2016 secondo Icf: una professione in crescita, 'executivesummary', 27 luglio 2016

LINK articolo integrale qui

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#LINK / Usa, la famiglia di Filadelfia (Ida Dominijanni)

(...) Il fatto è che quando Obama finisce di parlare sommerso dalle ovazioni e lei, rompendo il copione, spunta dal backstage e lo raggiunge sul palco, nell’abbraccio fra il primo presidente afroamericano e la prima candidata donna si vede che qualcosa di profondo è cambiato davvero, nell’America degli ultimi anni, qualcosa che supera con la forza di un salto simbolico la messa in scena e la strategia comunicativa della convention democratica. La prima volta di una donna in viaggio verso la Casa Bianca è incorniciata infatti da una sceneggiatura che rappresenta il partito democratico americano come una famiglia unita malgrado i litigi, forte malgrado gli attacchi, serena malgrado le difficoltà, le paure e lo spettro di Trump che lucra sulle difficoltà e sulle paure. E però quella che va in onda non è la soap stucchevole di una famiglia tradizionale, è piuttosto una recita a soggetto che spariglia i giochi, rompe gli schemi, scompiglia i ruoli di una famiglia post-patriarcale.

Bisogna cogliere lo sguardo d’intesa fra Obama e Bill Clinton, quando Obama dice “spero che non ti dispiaccia, Bill, se dico che non c’è mai stato nessuno, né io né tu, più qualificato di Hillary per la presidenza”, per vedere materializzarsi quel passo a lato degli uomini dai ruoli di potere che l’altra metà del cielo aspetta da decenni, in America e ovunque. (...)

*** Ida DOMINIJANNI, giornalista, La famiglia di Filadelfia, 'internazionale.it', 28 luglio 2016

LINK articolo integrale qui


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#GIF / Relax artistico


Facebook, 25 luglio 2016
Per vedere il movimento,
cliccare su 'f' di facebook in alto a destra
oppure link a
https://38.media.tumblr.com/98a7414c810647381469afea0ac5e844/tumblr_nwj5wg5Vw81uj9jgoo1_540.gif

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#SGUARDI POIETICI / Intorno (Vincenzo Costantino)

Guardati
la passione che riga le guance
e riempie gli occhi
guarda 
le scelte consapevoli 
che riempiono la vita
nutriti 
della curiosità degli occhi dei bambini
gustati 
la bellezza del ritorno
ad una casa che ti aspetta
segui 
la libertà di un gatto che insegue un uccello
c’è sempre tempo
per arrivare in ritardo,
anticipa i passi
e innamorati di dove stai andando,
intorno
qualcuno
ti aspetta.

*** Vincenzo COSTANTINO, poeta, scrittore, cantautore, Intorno, 'facebook', 10 giugno 2016, qui

#LINK / Cervello, le bugie più clamorose (Elisabetta Intini)

Nell'età dell'oro delle neuroscienze, l'organo più complesso, misterioso e meraviglioso del corpo umano è spesso soggetto a eccessive semplificazioni o colossali equivoci. Abbiamo raccolto, e demolito uno per uno, i più diffusi falsi miti che lo riguardano.

*** Elisabetta INTINI, giornalista, Le bugie più clamorose sul cervello, 'focus.it', 6 aprile 2016, 

LINK articolo e immagini qui


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#VIDEO / Usa, convenzione democratica (Michelle Obama)

Michelle Obama
Intevrento alla convenzione domocratica
intermnazionale.it, 26 luglio 2016
video 1min32

La convention del Partito democratico si è aperta il 25 luglio nel Wells Fargo Center di Filadelfia con un richiamo all’unità e lo slogan “insieme più forti”.

Michelle Obama, nel suo terzo intervento alla convention, dopo quelli del 2008 e nel 2012, ha ricordato che questa elezione, come ogni elezione, “non è una scelta tra repubblicani e democratici, tra destra e sinistra, ma di che paese vogliamo costruire per le prossime generazioni”. “Sono qui perché c’è una sola persona di cui mi fido per questa responsabilità, che credo sia davvero qualificata per essere presidente degli Stati Uniti ed è la nostra amica Hillary Clinton. Lei è il presidente che voglio per le mie figlie e per i nostri figli”, ha detto Michelle Obama.

“La storia di questo paese, la storia che mi ha portato su questo palco stanotte, è la storia di generazioni di persone che hanno conosciuto la frusta della schiavitù, la vergogna della schiavitù, la ferita della segregazione, ma che hanno continuato a lottare e a sperare e fare quello che era giusto fare. Per questo oggi io ogni mattina mi sveglio in una casa costruita da schiavi e guardo le mie figlie, due belle e intelligenti giovani donne nere, che giocano con il loro cane sul prato della Casa Bianca. È grazie a Hillary Clinton che le mie figlie e tutti i nostri figli oggi danno per scontato che una donna possa diventare presidente degli Stati Uniti”.

#SENZA_TAGLI / Pieni di sé (Domenico Starnone)

Abbracciarsi, travolti dall’entusiasmo, è meraviglioso. Lo notava qualche tempo fa, in margine, un’esponente del Pd parlando in televisione dei cinquestelle vittoriosi. E aveva ragione.

L’essere umano è al meglio quando si riempie di fantasie, di idee, di passione, di gioia, d’amore, dell’urgenza entusiastica di rifare tutto daccapo, fino a traboccare. Non gli basta più se stesso, il proprio particulare. Vuole farla finita con la solitudine, il rimuginio insofferente, lo scontentissimo blablabla. Vuole, anzi deve sconfinare. E poiché rompersi e dilagare non si può, cerca l’abbraccio, gli abbracci, con l’altro, con gli altri. La politica in quei momenti è una straordinaria occasione di felicità comunitaria. E la deputata del Pd ne sentiva la mancanza.

C’è tutto il necessario, a volte, nella politica-spettacolo: la giovinezza, l’aspetto piacevole, la parlantina addottrinata o immaginifica, la resistenza del sistema nervoso, il giusto dosaggio di aggressività e pacatezza, un programmino da volantinare. Ma il profilo individuale è troppo netto. La persona è come irrigidita dalle numerose qualità che gli sono toccate in sorte. Così si è pieni, sempre più pieni, ma di sé. L’entusiasmo è enunciato, tuttavia non trabocca. La politica è compiacimento, non comunanza travolgente. Si coopta, si fa fuori, si esclude, si include, si vince, si perde. Ma si è soli, non ci si abbraccia.

*** Domenico STARNONE, scrittore, Pieni di sé, 'internazionale.it', 26 luglio 2016, qui


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#MOSQUITO / Agonia di un punto e virgola (Diego Cugia)

Ho passato tutta la notte con un punto e virgola. Ve li ricordate i punti e virgola? Sono uno dei segni più intelligenti (e quindi accantonati) della nostra punteggiatura. Non è un punto, uno sciocco punto presuntuoso, che sta a significare “questo concetto è chiuso, stop.” Tantomeno un punto a capo, che sta a dire: “Non solo l’argomento è chiuso, ma è proprio messo in soffitta!” No, il punto è virgola è una sospensione pausata, più incisiva della virgola e meno sfacciata del punto. Sta a significare: l’argomento di cui stiamo trattando continua ma su un altro binario; diciamo che, nella traiettoria del discorso, il punto e virgola innesta un’altra marcia. Adesso mi direte: sì, ma a noi? 
Non siate cinici. Avete mai visto un punto e virgola che piange? Un punto e virgola in corpo 14 carattere Times New Roman che si dispera perché non lo usano più? Be’ io l’ho visto stanotte e non è stato un belvedere. Ridevano le virgole, ridevano gli usatissimi punti, sghignazzavano perfino gli orribili puntini retorici e le pause sbagliate che prendono tutti gli speaker del telegiornale che hanno quel modo assurdo di parlare, quel grido cantilenante e a singhiozzo; ma lui no, il punto e virgola piangeva, con dignità. «Mi insegnano un po’ alle elementari» ha detto, poi basta. «Dai futuristi in poi, che abolirono la punteggiatura, è stato un lento e continuo dimenticarmi. Quando dovrebbero mettere me» ha continuato Punto e virgola, «piazzano una virgola, i più somari due virgole, i più banali un puntazzo.» 
Non sapevo come consolarlo, in compenso abbiamo fatto amicizia, Punto e virgola e io, e come stessi a braccetto con mio nonno ci siamo messi a ballare un vecchio pezzo di Louis Armstrong, Hello Dolly, quello con piccole pause dei fiati, i punti e virgola della tromba di Satchmo. (5 dicembre 2008)

** Diego CUGIA, 1953, giornalista, scrittore, regista, autore televisivo, Agonia di un punto e virgola, in Un'anima a 7 euro e 99. Diario 2008-2016, CreateSpace Independent Publishing Platform, 2016

#CIT / Capace di cambiare (Carl Rogers)

Carl ROGERS, 1902-1987
psicologo statunitense
 fondatore della 'terapia non-direttiva'

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#SGUARDI POIETICI / Sento (Simona C. Barsantini)

Sento. 
Profonda salire l'onda
dentro e fuori
si infrange piena
oltre lo scoglio di un Monte Cipreo.
Sento
quando sale la marea convulsa
tempesta che si abbatte
furiosa
nella grotta del desiderio.
Sento... sì... oh... sì....
un picco di forza nell'estasi
un grido nel frastuono
che sommerge l'orecchio
una richiesta e una supplica
fermare o continuare 
l'ascesa al cielo 
e poi... poi... mmm
Silenzio... gemito e sorriso.
Soave sospiro soddisfatto.

*** Simona C. BARSANTINI, 'facebook', 14 luglio 2016, qui

Milo Manara, 1945
disegnatore, fumettista

#LINK / Propaganda, quando la persuasione diventa tossica (Annamaria Testa)

Nei primi anni del nuovo millennio sembrava che la rozza, brutale propaganda si avviasse a diventare sempre più marginale.

Oggi, in coincidenza con il riaffermarsi delle ideologie e con il crescere del populismo, ecco che la propaganda spunta di nuovo fuori, più tossica che mai, insieme alle sue perfide assistenti: la manipolazione (la pressione psicologica esercitata sui punti deboli della vittima attraverso l’inganno) e la disinformazione (la diffusione di notizie false o fuorvianti).

Questo articolo vi invita a osservare più da vicino come funziona la propaganda, e vi segnala due-tre indizi utili a distinguerla al primo sguardo da altre forme di discorso persuasivo: la propaganda è, di fatto, il lato più oscuro della comunicazione persuasiva. (...)

*** Annamaria TESTA, pubblicitaria e saggista, Propaganda, quando la persuasione diventa tossica, 'internazionale.it', 26 luglio 2016

LINK articolo integrale qui


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#MOSQUITO / Fascismo, anti-partito (Antonio Gramsci)

Il fascismo si è presentato come l’anti-partito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano (...).

*** Antonio GRAMSCI,1891-1937, intellettuale, politico, filosofo, giornalista, 'L’Ordine Nuovo', 26 aprile 1921


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#LINK / Mondo, tutto è un'arma (Martín Caparrós)

Sono pieni di vite, mi ha detto. Proprio così, pieni di vite. È curioso quanta differenza una lettera possa fare in una frase. “Sono pieni di vita” è un’espressione comune, ma quando mi sono sentito dire “sono pieni di vite” non ho capito.

Sono assolutamente ignorante in materia di videogame e vorrei continuare a esserlo anche nell’epoca di Pokémon Go, ma quella frase ha catturato la mia attenzione, e ho chiesto spiegazioni. Lui mi ha risposto con ricchezza di dettagli e una convinzione totale: in questo gioco i maghi hanno molte vite, il gigante ha tutte quelle che vuole e le arciere, per quanto belle, ne hanno pochissime.

Sì, ma quante?

Non lo so, due o tre.

Esistono persone abituate all’idea che si possa avere più di una vita. Per M., cinque anni, i supereroi dei giochi possono perdere una vita e passare alla prossima. Per alcuni credenti esiste un’altra vita dopo quella terrena e si può anche decidere di farsi saltare in aria per raggiungere quell’esistenza, che sarà migliore.

Lo dicono tutti gli addetti alla sicurezza del mondo: è difficile fermare qualcuno che non ha paura di morire. (...)

*** Martín CAPARRÓS, giornalista e scrittore, In questo mondo spaventoso tutto è un’arma, 'internazionale.it', 25 luglio 2016

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